Friday, March 03, 2006

Intervista a Romano Prodi

(da La Stampa di ieri 02/03/06)
POLITICA - INTERVISTA AL LEADER DELL'UNIONE IN VISITA NELLA TORINO OLIMPICA
Prodi: è la crisi più buia di questo dopoguerra
«Sono stati i cinque peggiori anni dalla guerra. È chiara la differenza fra spettacolo e vita reale»

Romano Prodi - TORINO. Alla cerimonia delle Paralimpiadi in piazza della Repubblica, Romano Prodi se ne va in anticipo e col precedente di Berlusconi fischiato in piazza, non c’è da stare tranquilli. I suoi lo accompagnano con un filo d’ansia, il Professore sfila tra due ali di folla e da lì si alza un timido, prolungato battimani. Fischi non se ne sentono. Prodi si infila nella sua autoblu con un sorriso: «Io sono abitutato a stare per strada e la gente non fischia mai chi trova al suo livello. Diverso è per chi scende dai palchi...». È sarcastico più del solito Romano Prodi nella giornata del trionfo americano del suo nemico, un primo marzo che invece il Professore ha trascorso per intero a Torino: «Questa città è in ripresa - dice Prodi, mentre dal finestrino guarda i viali che portano verso l’aeroporto - e gli aspetti psicologici, di umore collettivo anche se sono impalpabili, contano molto: questo successo sarà importante non solo per l’economia ma per il futuro della città».
In una campagna elettorale segnata dal marketing, dalle risse, dagli eventi spettacolari irrompono i dati Istat: parafrasando Bobbio, siamo alle dure repliche della realtà?
«I casi della vita. Questi dati arrivano proprio nel momento in cui a Washington c’era la grande celebrazione. Da un lato si celebrano successi non reali, mentre qui in Italia ci dobbiamo mettere tutti assieme per rimediare ad una situazione disastrosa. Sì, oggi primo marzo viene fuori tutta la differenza tra lo spettacolo e la vita quotidiana».
Ma non c’è un eccesso di pessimismo nella lettura dei dati sull’economia italiana resi noti dall’Istat?
«Ma vogliamo scherzare? Io sono preoccupatissimo. Le cifre sulla crescita zero denunciano una caduta continua di competitività non solo rispetto agli Stati Uniti ma anche rispetto a tutti i Paesi europei. Neanche i più cupi pessimisti pensavano a dati di questo tipo: 0,3 di crescita negli ultimi cinque anni, zero quest’anno, centomila occupati in meno, il deficit al 4,1%».
Sul deficit il Governo era stato più pessimista...
«Certo, loro immaginavano il 4,3%. Benissimo, se questo ci può confortare. Sono davvero dati che si commentano da soli. Anche se a legger bene i dati del Fondo monetario internazionale, c’è un dato stupefacente».
Quale?
«In tutto il mondo, in termini di crescita del Pil, ci sono soltanto nove Paesi dietro di noi! E tra quei nove, almeno tre hanno avuto episodi bellici. Lo dico col massimo rispetto, ma tra quei Paesi ci sono la Costa d’Avorio e il Timor Est. Tutti gli altri Paesi del mondo e sono tanti, sono cresciuti più di noi. Questo Governo ha operato in un periodo di grandissima crescita economica nel mondo e anche se l’Europa è cresciuta meno, noi siamo al ventiquattresimo o venticinquesimo non ho ancora i dati. Per non parlare di un altro dato veramente significativo: se guardiamo agli ultimi cinque anni, un periodo così lungo di recessione non c’è mai stato nel dopoguerra. Questa è la peggiore recessione della nostra storia».
E 5 anni, mese più mese meno, sono durate le più importanti stagioni di governo della Repubblica, De Gasperi, Fanfani, Moro, Andreotti, Craxi, l’Ulivo: se la sentirebbe di definire questo Governo il peggiore dalla guerra?
«Lo dice l’Istat: mai c’è stato un quinquennio che abbia fatto danni così grossi all’economia, alla solidarietà e alla giustizia sociale del Paese».
Ma nell’analisi dei dati economici congiunturali non è improprio e anche un po’ fazioso attribuire tutte le colpe - o anche tutti i meriti - ai Governi?
«Io attribuisco a questo Governo almeno la differenza tra l’Italia e gli altri Paesi europei. Almeno un punto e mezzo».
Facile criticare: ma se fosse stato lei a palazzo Chigi dopo l’attentato di New York cosa avrebbe fatto in positivo e cosa non avrebbe fatto rispetto a questo Governo?
«Avrei fatto prima quello che farò, spero, dopo. La riduzione del costo del lavoro sono anni che la chiedo. E ancora: incentivazione allo sviluppo, alla ricerca, all’innovazione, controlli veri sui prezzi, lotta all’evasione fiscale. E tutto questo sa cosa avrebbe garantito?».
Cosa?
«Avrebbe dato al Paese non dico grandi cose, ma un punto e mezzo in più di sviluppo all’anno».
Rispetto al governo francese, lei ha alluso ad un’ipotesi di «rappresaglia» che non ha trovato molti riscontri...
«Ma chi ha parlato di rappresaglia? Certo non io che ho invece invocato uguali condizioni. Proprio perché noi abbiamo dato il buon esempio. Se penso che l’Enel ha solo il 33% del mercato energetico nazionale. Se penso che l’Edf è il leader del mercato elettrico italiano. Se vedo che per una mossa della stessa Enel, si muove lo Stato francese, allora penso che non è questione di rappresaglia. Dico che l’eguaglianza sta nell’apertura e non nella chiusura dei mercati».
Ma di questo passo i mercati non si richiudono?
«No, ma sono molto preoccupato per il futuro: abbiamo partecipazioni diffusissime straniere nelle nostre imprese mentre le nostre aziende non ne hanno altrettante all’estero. Dobbiamo fare una politica di fusione delle nostre strutture produttive in modo da poter essere protagonisti attivi e non passivi nel grande rimescolamento che è cominciato. Dunque essere non solo prede ma anche cacciatori».
Ammetterà almeno che il lavoro dipendente cresce...
«Il dato dell’occupazione purtroppo è chiaro: meno centomila. Se poi quel dato viene da un meno 120 e da un più 20, questo è poco rilevante. Già prima i dati sull’occupazione non potevano dar luogo ad un’interpretazione ottimistica perché c’era un calo nell’occupazione giovanile, mentre la fascia in crescita - quella tra i 30 e i 45 anni - riguardava la regolarizzazione di immigrati. Cosa seria e giusta, ma che non comporta un occupato in più, perché parliamo di persone occupate già da tempo, che da irregolari diventano regolari».
Una previsione e non la consueta recriminazione: alla fine il duello tv con Berlusconi si farà?
«La risposta è molto semplice. Non mi è stata data risposta a quella che io considero una pre-condizione: che si faccia un dibattito ad armi pari e dunque senza quella conferenza stampa finale del Presidente del Consiglio. Che non sta né in cielo né in terra. Senza parità di condizioni il dibattito non si fa. A parità di condizioni si farà. Punto e basta».
(Fabio Martini)

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